martedì 13 novembre 2012

Ho comprato un quaderno e sono felice!


Quando si dice basta poco per la felicità! Sono stata in libreria e ho comprato un quaderno molto carino di carta riciclata. Mi ha colpito subito, per la semplicità e il gatto della copertina.
Sono stata ben dieci minuti davanti allo scaffale, confrontando quell'oggetto con i suoi simili: il prezzo, il colore, l'attrattiva.
Stavo andando via quando in stile Tony Manero ho mezzo piroettato e di slancio sono andata a riprenderlo, senza guardare in faccia a nessuno, neanche agli altri quaderni.

Mi è venuto in mente il film de Il Postino, quando Neruda travestito da Noiret regala un quaderno a Mario per le sue metafore. Non penso di fare una pallina, ma qualcosa di simile si.

Ricordo che quando iniziavo un nuovo quaderno a scuola, nelle prime pagine almeno, ero sempre molto ordinata, per non rovinarlo subito. E quando un quaderno è anche bello e ti piace, iniziarlo ti dà l'idea di poter mettere ordine alle tue idee in modo pulito, fresco, perfetto.

L'incanto di un quadernino racchiuso in un carissimo 5 euro, ma ne valeva la pena!



martedì 29 maggio 2012

E la violenza "fisica"!

Alla fine del film dei fratelli Coen, sono rimasta disorientata. Non solo per la violenza eccessiva e gratuita onnipresente nel film (rappresentata meravigliosamente da una “macchietta”  improbabile come Javier Bardem), ma mi sono sentita come lo sceriffo Bell che non riusciva a spiegarsi tutto quell’orrore. La risposta l’ho trovata, e forse ho vinto il mongolino d’oro,  nel titolo del film, citato alla fine proprio dall’eroe buono e perdente della storia;  la chiave di lettura, o dovrei dire, la chiave di volta: “Non è un paese per  vecchi”. Tanta violenza non sarebbe stata capita dalle precedenti generazioni, forse sorrette da valori morali più profondi, o semplicemente ancora memori delle brutture delle guerre mondiali. Sta di fatto, che ciò che non valeva nel film, vale oggi in Italia: il nostro è un paese per vecchi. I più vecchi (chi ci arriva, ovvio) ricevono la pensione, i più vecchi possono permettersi due macchine (io neanche la bicicletta), i più vecchi lavorano, i più vecchi comandano, i più vecchi parlano di giovani che diventano vecchi e non sono più giovani. Insomma, tra una ventina d’anni, forse più se li vedo, potrò dire che l’Italia è il paese che mi rappresenta, sebbene adesso mi scamazzi bene bene.



martedì 6 marzo 2012

Porte scorrevoli

Le coincidenze secondo alcuni psicologi, storici, sociologi, scienzologi và, non esistono. I segni, le sensazioni che preannunciano un incontro, un avvenimento, sarebbero frutto di autosuggestione. Come a dire “tu pensi che quella cosa sia un segno solo perché vuoi che lo sia” e secondo la scienza dei segni (la semiotica) questo non fa una piega. Secondo altri pensieri più ad est, di sapore orientale, la forza del pensiero positivo è tale da far accadere ciò che vuoi accada; in pratica, tu pensi ad una cosa che vuoi e quella avviene. Però devi volerla intensamente, fortemente, concentrarti attrarre a te la materia che è in essa, e non demotivarti se tarda ad arrivare, prima o poi accadrà. Non è speranza, è pensiero attivo, agente, creativo. Uno dei miei filosofi preferiti, che filosofo non è, nel cercare di scoprire se le cose siano frutto del caso o invece parole stampate sul libro del destino, dopo una disquisizione squisitamente grottesca, mette tutti d’accordo, taglia la testa al toro, dicendo che le nostre vite sono regolate per metà dal caso e per metà dal destino; una cosa ci capita perché era scritto che capitasse, ma è stato un caso che capiti in un determinato momento piuttosto che in un altro. Cioè, che Romeo e Giulietta dovessero morire giovani l’avevano scritto nel destino, ma è un caso super sfigato che Giulietta si sia svegliata dopo Romeo.


mercoledì 11 gennaio 2012

Un treno che si chiama Desiderio


Quando si dice che “la scoperta è nel viaggio” quanto è vero! Solo quando fai la peggiore pendolare di Caracas puoi realmente rendertene conto. Nola-Napoli passando per la circumvesuviana, la metro e la funicolare, è un viaggio ricco di storia, di etnia, e stili di vita tanto da far “accapponare” la pelle e mettere altre esperienze “a libretto”.
Conosci vite, pensieri, aspirazioni, anche malsane, ma concrete, reali e scopri davvero cosa accade intorno a te; solo stando 45 minuti tet-a-tet (per non dire “un’nguoll a nat”) puoi sentire i sogni, le speranze e gli odori dei tuoi amici di viaggio. E si intrecciano relazioni, costruisci davvero amicizie profonde, perché piuttosto che isolarsi con le cuffiette o immersi in un libro (mentre ancora dormi), fai passare velocemente il tempo, e vivi i progetti della giornata dell’altro, che in quel momento è sincero, vero, e riesci, stancamente ma volentieri, ad essere sincera anche tu. L’unico neo è quando incontri la persona che non puoi evitare, allora lo spazio si dilata, il tempo sembra infinito, e pensi che  avresti preferito perdere quel treno!


domenica 1 gennaio 2012

E l'anno indignado


Fare l’inventario di un anno è sempre una cosa difficile. Da dove iniziare? Se poi l’anno viene diviso nei mesi o nei giorni vissuti, è davvero un’ardua impresa dare valore a ciascuna circostanza. Un bilancio globale, che allarghi la prospettiva e ti inserisce in un mondo di persone, più o meno vicine, aiuta per lo meno a darti un quadro generale. Il 2011 è stato l’anno degli “indignados”, delle grandi rivoluzioni che non si vedevano dalle precedenti grandi rivoluzioni. L’anno dell’indignazione generalizzata: dalla politica all’economia, fino alla società, tradotta in razzismo e xenofobia. Abbiamo avuto tutti paura dell’altro e, in questo modo, paura di noi: dal macro al micro cosmo perdendo in essi fiducia e rispetto. Indignata lo sono anche io, e non nell’accezione inerme del termine; sono indignata in modo rivoluzionario. Indignata perché non ho fatto abbastanza, indignata perché è venuto il momento di agire e reagire, perché se si è toccato il fondo, e abbiamo iniziato a scavare con il cucchiaino, forse è proprio arrivato il momento di tappare tutte le buche e iniziare a fare almeno piccole piste per le biglie; e poi chissà, magari iniziare a costruire qualcosa che non ci faccia più indignare, di cui essere veramente fieri e aperti. Se non altro, almeno provarci per quest’anno magico dei Maya.



sabato 12 novembre 2011

Il WC Marketing


Se è vero che gli investimenti migliori sono i ristoranti e i “compro oro” perché pur si mangia e pur si campa, credo sia altrettanto onesto considerare una sommerso mercato di affari: il WC Business. Chiunque segue le regole della buona creanza, quando usa il bagno  di un locale pubblico, cede al ricatto morale di una spesa minima, dal caffè alla bottiglietta d’acqua, quasi a ringraziare l’esercente che per legge deve avere i bagni free.
Se consideriamo che dal più piccolo paesino sperduto fino alla capitale si è sempre usata la toilette come attrazione o valore aggiunto, poco ci stupisce se questa realtà prende corpo e diventa un giro di affari. Dagli autogrill, dove l’offerta diventa “a piacere”, passando per le stazioni italiane. A Roma Termini, per esempio, il WC Business è attivo già da tempo: per usare i bagni pubblici della stazione si è sempre pagato un obolo, che negli anni è salito alla cifra di 1 euro ad uso; un giro di migliaia di euro al giorno considerate le pipì di mezzo mondo che passano da lì.
A Napoli sono stati più creativi; il bar interno alla stazione, quello che ha i bagni facilmente raggiungibili, è gratuito ma ha regolarizzato la norma del paga e usi: sei costretto a fare lo scontrino per avere un codice da digitare sulla tastierina per aprire le porte dei servizi.
Inutile ricordare che siamo in Italia, allora ricordo un paesino sperduto della Scozia (tanto sperduto che non ricordo il nome) dove nel mezzo della città c’è una casina, che sembra un’abitazione, che in realtà è un complesso di servizi pubblici, pulitissimo, autogestito e soprattutto gratuito, che vanta sulle pareti gli attestati di 10 anni di “Bagni pubblici più puliti della regione”. Cioè, si premia la pulizia dei bagni che sono gratuiti! No comment, ma almeno non si dà un prezzo alle vostre urgenze.


venerdì 4 novembre 2011

È questo il posto?

Una meta raggiunta, prima sperata, poi attraversata, infine arrivata, fino quasi a disilludersi di aver trovato il posto giusto e di aver terminato il viaggio: è questo il posto, proprio questo? Il film, con il titolo di una vecchia canzone come leitmotiv di fondo, esprime limpidamente questo naturale e misterioso concetto. Avere un posto dove andare, uno scopo, solo in questo modo si riesce a misurare se stessi, le paure, il coraggio, il perdono. Senza scopo non farai cantare messe. Senza obiettivi siamo perduti, tutti. Anche se si sceglie di viaggiare solo per conoscere, bisogna avere chiaro in mente cosa si sta cercando, e lo sapeva bene l’ottimo Lello Arena, citando per me l’ormai sconosciuto autore di “chi parte sa da che cosa fugge, ma non sa cosa cerca!” Eresia! Per partire si deve avere un progetto, e magari cercarlo in un altro luogo, o un altro ancora, e poi rendersi conto alla fine che si è cercato nel posto sbagliato, ma a quel punto si avrà accresciuto la conoscenza su noi stessi, affinato le tecniche di ricerca e capito che né lì, né là è il posto giusto. Uno scopo, sempre. Anche in questi tempi cattivi che ci fanno perdere ogni fantasia, e ambire sempre meno. Allora si parte dal basso, perché anche se hai una casa che vuoi comprare, un lavoro che vuoi ottenere, una persona che vuoi conquistare, è sempre bello svegliarsi la mattina e sapere che hai un “posto” da raggiungere, e strada facendo, accorgersi di come quei posti cambieranno continuamente indirizzo.